Consorzi di Bonifica e agricoltura – Alba Siciliana: «È la cronaca di una morte annunciata, ma le soluzioni esistono»

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In queste settimane estive, non sono apparsi titoli e notizie sulla sete delle campagne, sulle arance rovinate dalla siccità ecc. soltanto perché quella del 2018 è stata forse l’estate più umida e piovosa degli ultimi decenni. Come agli albori della civiltà umana che aveva appena scoperto l’agricoltura, si confida ancora nel provvidenziale rovescio di pioggia della giusta quantità e al momento opportuno. Col passare dei secoli, ci si accorse che sarebbe stato meglio controllare l’apporto idrico mediante canalizzazioni, costituire riserve d’acqua con pozzi, cisterne, invasi artificiali ecc.: tutte cose che oggi stanno sparendo dal panorama della Sicilia, almeno per quanto riguarda le infrastrutture pubbliche. Dal canto suo il privato, la singola azienda agricola, deve provvedere da solo per procurarsi l’acqua, se ne ha la forza. Le possibilità di intervento nell’ambito del singolo appezzamento – per quanto grande sia – sono necessariamente limitate. Per non parlare poi di quelle proprietà che sono suddivise in più lotti, tra loro non adiacenti. In pratica, le alternative sono due: o l’imprenditore agricolo deve sacrificare parte dello spazio coltivabile per creare grandi zene, sperando che la pioggia basti a riempirle, fare grosse spese di trivellazione per captare acque sotterranee, se le trova… Quindi i costi sono destinati a crescere notevolmente mentre magari a pochi chilometri di distanza, per esempio nella zona dell’Etna come le campagne di Paternò, c’è una ricchezza idrica notevole. Oppure, è un imprenditore talmente grande da poter creare una rete di distribuzione interna alla sua vasta proprietà, che strategicamente comprende zone piovose, invasi, fiumi o laghi da dove la preziosa risorsa liquida si canalizza per raggiungere le zone più secche.
Oggi a scomparire è la visione d’insieme, che solo il soggetto pubblico a suo tempo aveva avuto: progettare e gestire sistemi di opere come le dighe e i collegamenti tra gli acquedotti, strutture che – almeno sulla carta – ove fosse necessario erano in grado di portare acqua da un capo all’altro della Sicilia. E invece, sembra di tornare alle divisioni feudali, chiuse in porzioni non comunicanti e inevitabilmente in conflitto tra loro: come già si è visto nelle precedenti estati quando si è quasi arrivati alla guerra per l’acqua tra campagne e grandi centri urbani che stavano per esaurire le riserve di uso civile, quando il neoeletto presidente Musumeci minacciava requisizioni d’autorità per dissetare Palermo o quando il travaso di alcuni milioni di metri cubi da una provincia all’altra aveva causato inevitabili proteste da parte di chi si vedeva sottratta la quantità necessaria ad assicurare un adeguato numero di abbeverate – che tra l’altro già erano state pagate in anticipo.
Finora, il governo Musumeci non ha affrontato con adeguata forza la questione; nel quinquennio precedente già era avvenuto il commissariamento dei Consorzi, con problemi gestionali molto gravi: gli addetti a rischio di licenziamento e le manutenzioni pressoché inesistenti, a fronte di tariffe sempre più alte per il servizio; contratti vincolanti chiedevano pagamenti anticipati senza fornire garanzie affidabili sulla effettiva fornitura d’acqua ai terreni, con un razionamento di fatto e consistenti danni alle colture. Già da alcuni anni, il movimento politico Alba Siciliana ha messo al centro delle sue iniziative il settore dell’agricoltura, con particolare riferimento al problema dei Consorzi; così sull’argomento si esprime oggi il reggente Leone Venticinque, con critiche e proposte: «Se si continua di questo passo, i Consorzi sono destinati a scomparire. Se le Istituzioni fanno un passo indietro, a comandare saranno i privati, ma di chissà quale provenienza e con quali obiettivi di sfruttamento? Arriveranno grossi gruppi industriali, dotati della forza economica necessaria per provvedere in proprio a tutte le necessità della agricoltura su larga scala; compreranno l’intera Sicilia con quattro spiccioli dai contadini indebitati. La fine della piccola agricoltura distrugge le conquiste della Riforma Agraria e apre le porte a scenari orribili. Come ci dicono gli esempi africani e di altri Paesi che soffrono il colonialismo economico delle multinazionali, nelle campagne che sono state abbandonate anche per mancanza d’acqua arrivano a farla da padrone soggetti predatori nomadici; sono aziende senza identità né radicamento territoriale, saltano da un posto all’altro come nubi di cavallette; lasciano dietro di sé fame e disperazione. Mentre siamo qui a parlare di agricoltura conservativa, sostenibile e di rigenerazione del suolo, intere regioni di continenti afroasiatici vengono devastate da monocolture intensive, che sul medio periodo portano depauperamento, sterilità, desertificazione. È questo che si vuole, per la Sicilia di domani? Sono dei fantocci inutili Bandiera e Musumeci, o hanno qualcosa da dire in proposito? Oggi, la Sicilia è la terra dell’eccellenza inaccessibile, riservata alle élites: ottimi prodotti, olio, vino e quant’altro vanno ai mercati ricchi lontani, perché i siciliani impoveriti non possono comprarli. La prossima estate potrà non essere tanto clemente e misericordiosa, e allora invece dell’acqua avremo solo le lacrime delle famiglie contadine andate in rovina. Se il cosidetto “governo autonomo dei Siciliani” ha capito di non farcela su questo problema, sia onesto con sé stesso e con i cittadini: cerchi di cambiare le cose, si rivolga al suo superiore – l’esecutivo di Roma – e chieda subito un preciso impegno per inquadrare il problema e mettere in atto provvedimenti efficaci. Una soluzione che andrebbe studiata potrebbe anche consistere nella creazione di una Spa, sul tipo della Terna che gestisce le dorsali elettriche mentre poi i contratti coi singoli utenti vengono messi in libera concorrenza tra Enel e gli altri operatori. Inoltre, come già accade con il fotovoltaico, andrebbe verificata la praticabilità di un sistema in sinergia tra la rete consortile e i piccoli produttori privati d’acqua, cioè chi invece di attingere possiede questa risorsa oltre le sue necessità ed è in grado di fornirla alla rete di distribuzione – naturalmente con gli adeguati controlli di qualità e salubrità per l’uso irriguo. La priorità assoluta è combattere la rassegnazione e riappropriarci del nostro destino. Noi siamo pronti a esporre le nostre proposte nelle sedi politiche a Palermo e Roma, a confrontarci con chi ha la responsabilità di dare un futuro alla Sicilia e all’Italia.»

 

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